Nonostante le linee guida dell’OMS del 2010 abbiano
innalzato la soglia di CD4 a cui iniziare la terapia con antiretrovirali, sono
ancora troppe le persone con HIV che arrivano tardi ad assumere tale
trattamento in Africa. Questo si traduce in una mortalità maggiore nel periodo
immediatamente successivo all’inizio della terapia, in una gestione clinica più
complicata e costosa, mentre si perde l’opportunità di utilizzare la terapia
anche come strategia per la diminuzione del contagio.
Un recente studio della Columbia University ha esaminato
la percentuale di persone che entrano in terapia in uno stadio avanzato di
malattia in quattro paesi africani (Kenya, Mozambico, Rwanda e Tanzania).
Il
numero mediano di CD4 a inizio terapia è salito da 125 a 185 tra il 2006 e il
2011, un incremento piuttosto modesto se si pensa che la terapia andrebbe
iniziata a 350 CD4. La proporzione di persone che iniziano la terapia in uno
stato già avanzato di malattia è
diminuita in questi anni dal 42% al 29%. Le persone che iniziano tardi la
terapia sono soprattutto uomini (hanno un rischio 1,6 volte maggiore rispetto
alle donne), infatti probabilmente il fatto di accedere ai servizi di
prevenzione materno infantile diminuisce la probabilità di iniziare la terapia
in stadio avanzato di malattia. L’offerta di screening e cure per l’HIV durante
la gravidanza si conferma quindi uno strumento efficace per aumentare l’accesso
della popolazione femminile alla terapia.
Tra i paesi analizzati, il Rwanda registra i livelli più
alti di CD4 all’inizio della terapia, ciò è dovuto a diversi fattori: il pronto
adeguarsi delle linee guida nazionali alle raccomandazioni dell’OMS, un
rapporto numerico personale sanitario/pazienti più favorevole e l’effettiva
decentralizzazione dei servizi.
Si è anche osservato che molti tra i pazienti che vengono in contatto con il
sistema sanitario e non hanno ancora
criteri di eleggibilità alla terapia (poiché il numero di CD4 è > 350) si
perdono nel percorso e ritornano all’osservazione molto tardi. Sono necessarie
dunque strategie per mantenere questi pazienti in contatto con il sistema
sanitario.
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