Il dibattito su quando iniziare la terapia antiretrovirale
ha infuriato fin dalla scoperta del primo farmaco efficace, la zidovudina, nel
1987. Sulla base di alcuni studi, si è evidenziato il numero di cellule CD4
come primo parametro per indicare l'inizio del trattamento per i soggetti
asintomatici infettati con il virus dell'HIV. Da allora, nel decidere quando
iniziare la cura, il pendolo ha oscillato avanti e indietro sottolineando da un
lato l’ efficacia dei farmaci, dall’altro la loro tossicità. In un articolo
recentemente apparso su
BMC Medicine,
gli autori riassumono i termini del dibattito e sostengono che, allo stadio
attuale di conoscenze, la decisione più corretta sia quella di iniziare il
trattamento il più presto possibile, indipendentemente dal numero di CD4.
Infatti oggi conosciamo meglio la biologia della
replicazione virale, (da 1 a
10 miliardi di nuove particelle virali prodotte al giorno), ed i suoi effetti,
come la continua distruzione di cellule CD4 e l'infiammazione persistente, che
è associata con esordio più precoce di comorbidità.
Inoltre disponiamo di
farmaci più efficaci e meno tossici rispetto agli anni passati.
Esiste un sicuro beneficio per il paziente nell’iniziare la
terapia quando i CD4 scendono sotto i 500 per µl , ma solo alcuni studi di
coorte hanno dimostrato il chiaro beneficio della terapia antiretrovirale anche
per livelli superiori di CD4 . Nessuno studio tuttavia ha mostrato danni o
svantaggi per chi inizia precocemente.
Oltre ai benefici dimostrati per il singolo paziente, ora sappiamo
che esiste un beneficio in termini sanità pubblica da un intervento precoce: come
mostrato dallo studio
HPTN 052 il trattamento è prevenzione, la terapia precoce
infatti si è mostrata più efficace nel prevenire la trasmissione del virus HIV
di tutti gli altri interventi di prevenzione comportamentale e biomedica
studiati fino ad oggi.