24 gennaio 2013

Curare l'AIDS in Africa. Abbattere i costi conviene!

L’aderenza, cioè il rispetto delle prescrizioni del medico in merito alla terapia, è indispensabile perché il trattamento dell’infezione da HIV ottenga buoni risultati. Infatti, una volta che la terapia antiretrovirale si è resa necessaria, deve essere presa ogni giorno preferibilmente alla stessa ora, per tutta la vita, senza mai interrompere. Altrimenti il virus riprende a moltiplicarsi, diventa resistente e in poco tempo la terapia non ha più effetto. Raggiungere e mantenere una buona aderenza per molti anni non è facile, è un obiettivo che può essere raggiunto solo con un’attiva partecipazione del paziente. Secondo uno studio recentemente pubblicato da AIDS Research and Therapy, diminuire il costo delle cure si conferma un fattore cruciale per migliorare l’aderenza dei pazienti alla terapia.
All'inizio dell’introduzione della terapia in Africa, molti pensavano che i pazienti non sarebbero stati in grado di raggiungere un’elevata aderenza. In realtà, in media l’aderenza nei paesi africani è pari o superiore a quella dei paesi sviluppati.
Vari fattori, alcuni individuali, altri strutturali, possono condizionare l'aderenza alla terapia. Tra quelli strutturali, grande importanza è rivestita dal costo delle cure. Lo studio citato, condotto in Camerun analizzando tutti i dati disponibili in letteratura dal 2000 al 2010, mostra come l’aderenza dei pazienti sia andata migliorando negli anni parallelamente alla riduzione del costo della terapia. In media, infatti, l’aderenza è passata da circa il 50% degli anni 2000 al 90% del 2010. Il costo della terapia ha subito in Camerun un notevole calo nel 2004, e dal 2007 i farmaci sono offerti gratuitamente.
La relazione tra costo delle cure e aderenza è stata notata anche in altri contesti, ad esempio in India, dove si possono trovare sia programmi a pagamento sia gratuiti. Anche qui, alcuni studi hanno mostrato come i pazienti che ricevevano la ART gratuitamente avevano una maggiore aderenza rispetto a quelli che dovevano pagare per la terapia. 
L'aderenza sta ricoprendo un ruolo sempre più importante nei programmi di lotta all'infezione da HIV nei paesi a risorse limitate; particolarmente in questi ultimi mesi, in cui molti paesi africani stanno cominciando ad affrontare la pandemia in modo più deciso, secondo le più recenti linee guida dell'OMS, la capacità di mantenere i pazienti in cura è di cruciale importanza, per non vanificare tanti sforzi e non sprecare tante risorse. La gratuità delle cure, allora, sembra un primo punto da cui partire, per costruire modelli di cura efficaci che sappiano massimizzare l'aderenza.

18 gennaio 2013

Il viaggio che tutti dovremmo fare


Un angiologo, responsabile del servizio di telemedicina dell’ospedale san Giovanni di Roma scrive un libro; cronache di viaggio, spiega il sottotitolo, cronache di viaggio di un medico euroafricano. È Michelangelo Bartolo, autore del volume La Nostra Africa, edito da Gangemi Editore. Un romanzo vero, che racconta problemi veri, come è stato sottolineato ieri alla presentazione del libro tenutasi nella sala Protomoteca del Campidoglio a Roma.
Bartolo è romano, vive e lavora nella capitale, ma da diversi anni è impegnato in Africa con il programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio, oggi attivo in dieci paesi africani nella cura all’AIDS. L’esperienza di questi anni è narrata nelle pagine del libro, che trascinano il lettore in Mozambico, in Tanzania e in Africania (terra immaginaria, simbolo dei problemi comuni a tanti paesi africani); seguendo le avventure di Federico (alter ego dello stesso Bartolo) si viene coinvolti in un’avventura grande e avvincente.
Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, ha sottolineato: l’angiologo fa scorrere bene il sangue, e questo libro fa scorrere bene il sangue delle cose buone, delle cose vere, chi legge questo libro vive mentre legge, gli viene il desiderio di vivere di più e alla fine non rimane esattamente come era prima di leggerlo.
Le pagine di Bartolo sono coinvolgenti, accattivanti, umane, ironiche, serie, profonde, mai ideologiche o moraliste. Giampaolo Catalano, giornalista de La Repubblica, ha messo l’accento proprio sullo stile particolare della narrazione; pur affrontando l’enorme tematica dell’AIDS in Africa, con le sue tragedie e le sue resurrezioni, il racconto resta sempre profondamente umano, con i piedi per terra, lontano da giudizi o condanne al mondo ricco.
Roberto Gervaso ha dichiarato: dopo aver letto il libro ho provato due sentimenti: invidia e odio. Sono sentimenti umani… Invidia e odio, perché questo libro lo avrei voluto scrivere io! Con ironia, ha poi accusato l’autore di plagio, sostenendo che i veri autori del libro sarebbero in realtà Ernest Hemingway, Albert Schweitzer e P. G. Wodehouse. Ha poi concluso chiedendo all’autore: Ma come ti è venuto in mente tutto ciò? Bartolo ha risposto spiegando come tutto ciò non sia stata un’idea sua, ma frutto del coinvolgimento di altri; e ha concluso: nella vita si è sempre trascinati da qualcuno, altrimenti si è soli.
Federico, il protagonista de La Nostra Africa, è un eroe moderno, perché eroica è la vita di chi si dedica con impegno e passione ad una battaglia come la cura dell’AIDS in Africa. È un eroe, ma non un eroe senza macchia e senza paura, come sottolinea la motivazione del premio Mario Soldati conferito proprio a Bartolo: non sa cucinare, e se nessuno provvede è capace di nutrirsi di sola frutta; non sempre sa cavarsela nelle situazioni imbarazzanti; a volte è impulsivo e imprudente. Un eroe, dunque, ma non un eroe solitario, Bartolo lo ha sottolineato, si tratta piuttosto di un eroismo collettivo, che ha saputo andare contro le opinioni dominanti nella comunità scientifica, e ha avuto ragione (come ha ricordato Marazziti).
La Nostra Africa racconta quell’eroismo collettivo, racconta quel viaggio, ci coinvolge e ci rende un po’, tutti, eurafricani.


3 gennaio 2013

Dalle donne la forza per cambiare l'Africa

Basta con l’afropessimismo!
Dall’Africa arriva una voce diversa, fatta di tante donne HIV-positive che hanno deciso di non rassegnarsi di fronte ad una diagnosi, quella dell’HIV, che potrebbe sembrare una condanna, ma anzi di combattere per tanti come loro, per un continente, l’Africa, finalmente libero dall’AIDS.
Nasce così il movimento “Io DREAM”, parte integrante del programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio. Il movimento, nato in tutti i paesi in cui DREAM è presente, vede la partecipazione di pazienti, in particolare donne, che decidono di testimoniare con la loro stessa vita che esiste un trattamento efficace e che si possono dare alla luce bambini sani liberi dal virus. Le attiviste di “Io DREAM” hanno imparato che dall’esclusione e dallo stigma si può tornare ad uscire di casa, e che nell’aiutare gli altri malati si può trovare il riscatto di una vita che sembrerebbe condannata. Questo grazie ad un programma d’eccellenza che ha scelto di offrire in maniera gratuita a tutti i suoi pazienti standard di cura occidentali, mettendo al centro il valore della persona, decidendo di non abbandonare nessuno.
Lo spiega bene Artemisia Chiziane, donna mozambicana, membro del movimento “Io DREAM”, la cui intervista esce il 3 gennaio su L’Osservatore Romano.
Artemisia è una donna alla quale nel 2005 è stata diagnosticata l’infezione da HIV. Recatasi durante la gravidanza nel centro di salute di Matola 2, vicino Maputo, fatto il test e scoperto di essere sieropositiva, ha iniziato la terapia con antiretrovirali per evitare la trasmissione del virus al bambino. Oggi suo figlio, Hilario di 7 anni, sta bene: è nato sano grazie al Programma DREAM.
Da allora Artemisia si impegna direttamente per sostenere altre persone sieropositive, andando nelle loro case ed offrendo un servizio di orientamento su nutrizione, igiene, corretta somministrazione ed assunzione dei medicinali e sostegno psicologico. Non solo, insieme ad altri attivisti, garantisce anche una presenza costante nei centri DREAM per accogliere i malati e per orientarli, infondendo forza e coraggio. Artemisia dice: “siamo l’esempio vivente che è possibile vincere la battaglia contro l’AIDS”. Dal suo impegno per DREAM ha trovato energie nuove e una speranza che non aveva prima della malattia.
Le attiviste vengono anche formate ogni anno grazie a corsi di aggiornamento che si svolgono nei 10 paesi dove è attivo il Programma DREAM. Artemisia è convinta che “le donne siano i pilastri della società, in qualsiasi angolo del mondo, portatrici di vita e di speranza. Attraverso l’istruzione, la formazione professionale e il lavoro è possibile cambiare il proprio destino e quello degli altri". Così la donna, da principale vittima dell’AIDS, diviene protagonista della liberazione della malattia. Artemisia è oggi coordinatrice del Centro Nutrizionale della Comunità di Sant’Egidio a Matola, che dà da mangiare ogni giorno a circa 800 bambini. Sogna di diventare infermiera e di continuare ad aiutare il suo paese.