Come
allargare il trattamento antiretrovirale al maggior numero possibile di pazienti affetti da
HIV/AIDS è stato il principale tema di discussione della Conferenza
svoltasi a Roma nei giorni scorsi, co-sponsorizzata da Unaids (il
programma delle Nazioni Unite) e Caritas Internationalis,
dal titolo: Consultation
to Promote Treatment 2015 Initiative to Expand of Access to Anti-Retroviral
Treatment for Persons Living with HIV.
Nel mondo, alla fine del 2012,
le persone sieropositive erano oltre 35 milioni, la maggior parte delle
quali nel continente africano. Non a tutti è garantito l’accesso ai
farmaci necessari e uno degli obiettivi di UNAIDS è quello
di mettere in terapia 15 milioni di persone entro il 2015.
In
questa sfida per allargare l’accesso al trattamento giocano un ruolo
fondamentale le organizzazioni religiose, radicate nel territorio e vicine ai
problemi della gente, oltre che parte fondamentale del sistema sanitario
africano.
Ha
dichiarato infatti il Dottor Luiz Loures, Assistant Secretary General delle
Nazioni Unite e Vice Direttore Esecutivo del Programma UNAIDS, che “assicurare
che 15 milioni di persone abbiano accesso ad un trattamento antiretrovirale di
qualitá non puó avvenire senza le faith-based community. Storicamente, i
servizi forniti dalle organizzazioni religiose sono stati un contributo
fondamentale per salvare milioni di vite. Esse hanno la capacità, le reti, le
competenze e l'esperienza. Per questo devono essere pienamente coinvolte nel
percorso verso l’ampliamento dell’accesso alle cure”.
Al
convegno erano presenti rappresentati di alto livello delle maggiori
istituzioni coinvolte nella lotta all’AIDS, con “l’obiettivo comune di fornire
un trattamento a tutte le persone che vivono con l'HIV”, ha detto il segretario
generale di Caritas Internationalis, Michel Roy.
Anche
la Comunità di Sant’Egidio, che con il Programma DREAM è
impegnata a raggiungere l’obiettivo dell’accesso alle cure per tutti i malati,
ha partecipato all’incontro con due contributi.
Le
parole di Jane Gondwe, donna malawiana, malata di HIV, vedova e madre di due
figli hanno testimoniato come un trattamento d’ eccellenza gratutito passa
ridare vita.
Conosciuto
il Programma DREAM, Jane é uscita dalla disperazione della malattia che la
vedeva ormai condannata ad un destino di morte.
Adesso
Jane contribuisce con il suo lavoro per DREAM a salvare la vita di tanti. Ogni giorno parla con tante donne della sua cittá, Blantyre, incoraggiandole e
sostenendole, mostrando loro come sia possibile vivere e dare alla luce bambini
sani, anche se si ha l’HIV.
Per il suo paese, il Malawi, primo ad introdurre l’ opzione
b-plus dell’OMS (vedi post 1 e post 2) per la prevenzione della trasmissione madre-bambino, “si puó iniziare a vedere
la fine della pandemia”, racconta Jane. Non é la exit-strategy l’ opzione
vincente, ma "espandere il trattamento, lavorare insieme, ridare la vita a donne,
bambini, famiglie e interi paesi". Migliorando i sistemi sanitari si puó fare la
storia di una nazione.
Importante
appare il coinvolgimento del paziente in una comunitá. É il lavoro che sta
facendo Jane. I risultati di tutto questo in termini di retention, sono
riportati nell’intervento del Prof. Palombi, direttore scientifico del
Programma DREAM.
L’importante
tema della retention rappresenta infatti la chiave del successo del trattamento
e della prevenzione, includendo in esso i pazienti, elementi chiave per la
fidelizzazione a programmi di cura che durano tutta la vita, come é il caso dei
programmi di cura per l’HIV/AIDS, ed é come sta facendo DREAM sin dal suo inizio.
“Insieme
si puó vincere”, come ci ricorda Jane, “insieme possiamo cambiare l'Africa,
possiamo fare la storia!”.
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