28 febbraio 2014

Consultation to Promote Treatment 2015 Initiative

Come allargare il trattamento antiretrovirale al maggior numero possibile di pazienti affetti da HIV/AIDS è stato il principale tema di discussione della Conferenza svoltasi a Roma nei giorni scorsi, co-sponsorizzata da Unaids (il programma delle Nazioni Unite) e Caritas Internationalis
dal titolo: Consultation to Promote Treatment 2015 Initiative to Expand of Access to Anti-Retroviral Treatment for Persons Living with HIV
Nel mondo, alla fine del 2012, le persone sieropositive erano oltre 35 milioni, la maggior parte delle quali nel continente africano. Non a tutti è garantito l’accesso ai farmaci necessari e uno degli obiettivi di UNAIDS è quello di mettere in terapia 15 milioni di persone entro il 2015.


In questa sfida per allargare l’accesso al trattamento giocano un ruolo fondamentale le organizzazioni religiose, radicate nel territorio e vicine ai problemi della gente, oltre che parte fondamentale del sistema sanitario africano.
Ha dichiarato infatti il Dottor Luiz Loures, Assistant Secretary General delle Nazioni Unite e Vice Direttore Esecutivo del Programma UNAIDS, che “assicurare che 15 milioni di persone abbiano accesso ad un trattamento antiretrovirale di qualitá non puó avvenire senza le faith-based community. Storicamente, i servizi forniti dalle organizzazioni religiose sono stati un contributo fondamentale per salvare milioni di vite. Esse hanno la capacità, le reti, le competenze e l'esperienza. Per questo devono essere pienamente coinvolte nel percorso verso l’ampliamento dell’accesso alle cure”.

Al convegno erano presenti rappresentati di alto livello delle maggiori istituzioni coinvolte nella lotta all’AIDS, con “l’obiettivo comune di fornire un trattamento a tutte le persone che vivono con l'HIV”, ha detto il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy.
Anche la Comunità di Sant’Egidio, che con il Programma DREAM è impegnata a raggiungere l’obiettivo dell’accesso alle cure per tutti i malati, ha partecipato all’incontro con due contributi.
Le parole di Jane Gondwe, donna malawiana, malata di HIV, vedova e madre di due figli hanno testimoniato come un trattamento d’ eccellenza gratutito passa ridare vita.
Conosciuto il Programma DREAM, Jane é uscita dalla disperazione della malattia che la vedeva ormai condannata ad un destino di morte.
Adesso Jane contribuisce con il suo lavoro per DREAM a salvare la vita di tanti. Ogni giorno parla con tante donne della sua cittá, Blantyre, incoraggiandole e sostenendole, mostrando loro come sia possibile vivere e dare alla luce bambini sani, anche se si ha l’HIV.
Per il suo paese, il Malawi, primo ad introdurre l’ opzione b-plus dell’OMS (vedi post 1 e post 2) per la prevenzione della trasmissione madre-bambino, “si puó iniziare a vedere la fine della pandemia”, racconta Jane. Non é la exit-strategy l’ opzione vincente, ma "espandere il trattamento, lavorare insieme, ridare la vita a donne, bambini, famiglie e interi paesi". Migliorando i sistemi sanitari si puó fare la storia di una nazione.
Importante appare il coinvolgimento del paziente in una comunitá. É il lavoro che sta facendo Jane. I risultati di tutto questo in termini di retention, sono riportati nell’intervento del Prof. Palombi, direttore scientifico del Programma DREAM.
L’importante tema della retention rappresenta infatti la chiave del successo del trattamento e della prevenzione, includendo in esso i pazienti, elementi chiave per la fidelizzazione a programmi di cura che durano tutta la vita, come é il caso dei programmi di cura per l’HIV/AIDS, ed é come sta facendo DREAM sin dal suo inizio.

“Insieme si puó vincere”, come ci ricorda Jane, “insieme possiamo cambiare l'Africa, possiamo fare la storia!”. 

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