
La risposta viene da uno studio condotto tra il 2004 e il
2009 in una zona rurale dell’Uganda. L’Uganda è un Paese di circa 35 milioni di
abitanti situato nella regione dell’Africa orientale. Il tasso di prevalenza di
HIV tra gli adulti è del 7.2% (dati UNAIDS).
E’ ormai risaputo come alcune condizioni non favoriscano
l’aderenza alla terapia antiretrovirale, fondamentale per la buona riuscita del
trattamento. Tra questi lo stigma e la discriminazione legati allo stato di sieropositivo,
il livello di educazione, la consapevolezza della propria malattia e la paura
di reazioni avverse dovute ai farmaci.
Le paure che i pazienti hanno prima di iniziare la terapia
possono incidere sulla successiva aderenza ai farmaci e sugli esiti legati al
trattamento.
A tale scopo Mayanja e i suoi collaboratori hanno
interrogato 421 adulti ugandesi HIV positivi, valutando la possibile associazione
esistente tra tali preoccupazioni e l’aderenza alla ART, gli esiti immunologici
e virologici raggiunti in seguito all’assunzione della terapia.
Queste le principali preoccupazioni espresse dai pazienti:
la preoccuazione che il loro stato di sieropositivi venga scoperto; la paura
che il cibo possa venire a mancare proprio nel momento in cui avranno più
appetito a causa dei farmaci antiretrovirali; timori e preoccupazioni legati
all’uso del preservativo, non sapendo come usarlo o per riluttanza ad usarlo;
l’uso concomitante di altri farmaci per la profilassi contro infezioni
opportunistiche, come il cotrimossazolo o i farmaci per la tubercolosi;
preoccupazioni legate all’aderenza alla terapia antiretrovirael e in
particolare al fatto che per tutta la vita dovranno prendere compresse ad un
orario stabilito senza commettere errori; paura degli effetti collaterali
legati alla terapia; dubbi sull’effettivo miglioramento della salute in seguito
all’assunzione di ARV (ritrovare le forze e aumentare il peso); paure legate al
concepimento durante l’assunzione di ARV (può nuocere al bambino?).
Tra gli esiti sono stati presi in considerazione l’aderenza
alla terapia, la conta dei CD4 e la carica virale, gli effetti collaterali alla
terapia e i decessi.
Dopo almeno 24 mesi di terapia, i pazienti che avevano
riferito avere preoccupazioni avevano fatto più visite rispetto a coloro che
avevano dichiarato non avere alcuna preoccupazione. I CD4 apparivano aumentati
in maniera simile in entrambi i gruppi. Tuttavia, dopo 1 anno di terapia, i pazienti che avevano segnalato avere preoccupazione avevano una maggiore soppressione virologica rispetto ai pazienti che non avevano riportato alcuna
preoccupazione.
Secondo i ricercatori, nonostante la mancanza di
associazioni significative tra la presenza di preoccupazioni ed esiti
sfavorevoli legati alla ARV, i medici e coloro che si occupano del counseling dovrebbe aiutare i pazienti a superare le loro preoccupazioni che possono causare stress e disagio. Il sostegno alimentare attraverso la distribuzione di
alimenti è desiderabile per alcuni
pazienti che iniziano la ART.
La persona HIV positiva dovrebbe essere seguita in tutte le
fasi delicate di una strada che non potrà mai abbandonare, alla quale dovrà
rimanere legata per tutta la vita. Deve essere messa in grado di diventare
protagonista del suo stesso percorso terapeutico, inserita in una rete di
supporto fatta di persone che possano aiutarla ad affrontare paure e
preoccupazioni. Questo può essere il ruolo dei Community Health Workers che con
il loro intervento possono favorire la retention
a programmi di cura long-life.