9 novembre 2012

Coinfezione Tubercolosi e HIV: una storia a lieto fine?


"We are now at a crossroads between TB elimination within our lifetime, and millions more TB deaths." Così si è espresso il direttore del dipartimento Stop TB del WHO, Dr. Mario Ravaglione.
La tubercolosi rappresenta ancora oggi la prima causa di morte nei pazienti sieropositivi, particolarmente in Africa; i paesi africani ospitano il 79% di tutti i casi di coinfezione HIV-TB al mondo. È quanto riportato dal Global Tubercuolosis Report 2012, pubblicato a fine ottobre dal WHO.
Desmond Tutu, arcivescovo anglicano protagonista della lotta all'Apartheid in Sud Africa, il 7 novembre scriveva preoccupato sul Wall Street Journal: "TB is spreading like wildfire through South Africa's mines and to the world beyond". Una preoccupazione sta crescendo nella comunità scientifica, tra i governi, nella società civile: a 130 anni dall'individuazione della causa della tubercolosi da parte di Robert Koch, il micobatterio continua a uccidere e a diffondersi. Uno dei problemi maggiori continua ad essere la diagnosi della malattia (acuta e latente), in particolare nei contesti sanitari a scarse risorse e nei pazienti sieropositivi. Molti sforzi sono stati fatti in questa direzione, molti strumenti sono ora disponibili, ma la tubercolosi resta ancora spesso non diagnosticata, o diagnosticata in ritardo. L'ultimo progresso rilevante è stato la messa a punto del Gene Xpert, un test di amplificazione genica per l'individuazione del micobatterio nell'espettorato, che comincia a diffondersi in Africa Sub-Sahariana; altri test sono allo studio e sembrano dare risultati promettenti, come la ricerca del lipoarabinomannano (LAM) nelle urine. L'OMS negli ultimi anni ha posto molto l'accento sull'utilizzo di un test clinico di screening basato sulla presenza di quattro sintomi (tosse, febbre, calo ponderale, sudorazione notturna) da somministrare ai pazienti sieropositivi; questo test di screening si è mostrato essere molto valido nell'escludere la tubercolosi, ma relativamente poco efficace nell'effettuare la diagnosi di malattia. Tale approccio clinico è spesso l'unico strumento nelle mani dei clinici operanti in molti contesti dell'Africa Sub-sahariana, eventualmente affiancato dalla microbiologia classica (con tutti i limiti che questa ha, nell'individuazione del micobatterio nei pazienti sieropositivi).
Il risultato di tutto ciò è che ancora oggi circa 8-9 milioni di persone sviluppano ogni anno la tubercolosi, e probabilmente sono numeri che sottostimano l'entità del problema. Di fronte a questo gli strumenti disponibili sembrano essere limitati, tanto da indurre alcuni ad adottare soluzioni tanto innovative quanto stravaganti. Un gruppo di ricercatori ha messo a punto una tecnica per utilizzare le straordinarie capacità olfattive di alcune specie di ratti per l'identificazione dei campioni di espettorato infetti da M. tuberculosis, riducendo i tempi della diagnosi; i topi addestrati riconoscerebbero i campioni infetti semplicemente annusandoli. Una proposta che fa sorridere, ma che rivela un problema ancora preoccupante: la mancanza di metodiche diagnostiche definitive per la tubercolosi.
Quella che è stata definita la malattia infettiva più antica dell'umanità, è ancora una sfida diagnostica per i clinici del XXI sec. Nove milioni di nuovi infetti ogni anno richiedono uno sforzo politico e scientifico in questa direzione. Le parole di Desmond Tutu sulla tubercolosi in Africa australe sono incoraggianti: "We finally have the political will in the region to create an emergency response to arrest its spread. For the health of the region we must seize the opportunity and end this disease."

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