4 maggio 2015

Eccellenza nella diagnostica di laboratorio per raggiungere gli obiettivi 2030

Il mondo sta unendo gli sforzi per porre fine all’epidemia da HIV entro il 2030, perché il 90% delle persone sieropositive conosca il proprio stato, il 90% delle persone che sanno di aver contratto l’infezione sia messo in trattamento e il 90% di coloro che sono in trattamento abbia la carica virale soppressa. Ottimizzare l’uso della diagnostica sarà fondamentale per raggiungere tale obiettivo. Si stima che a partire dal dicembre 2013, 12,9 milioni di persone siano stati trattati con farmaci antiretrovirali. Anche se questo rappresenta un ottimo risultato, il mondo deve ancora sfruttare pienamente i benefici terapeutici e preventivi che derivano dal trattamento per l’HIV. E’ ormai riconosciuto infanti come il trattamento non solo salvi vite umane, ma prevenga anche il diffondersi della malattia. Nei paesi più pesantemente colpiti, l’utilizzo di antiretrovirali ha aumentato enormemente la speranza di vita e ridotto la morbilità HIV correlata. Il trattamento per l’HIV si è infatti dimostrato essere il più efficace intervento di prevenzione in grado di ridurre la trasmissione del virus del 96%. Secondo studi recenti, ogni aumento dell’1% della copertura del trattamento comporta un calo dell’1% delle nuove infezioni. Inoltre  il trattamento per l’HIV consente di risparmiare denaro, con ritorni economici grazie a una riduzione delle spese mediche e all’aumento della produttività lavorativa. Se in Africa sub sahariana venissero trattati tutti coloro che sono HIV positivi, indipendentemente dal loro stato immunologico, si avrebbe un risparmio di miliardi di dollari.
Per raggiungere l’obiettivo è necessario integrare i servizi, inserire i test per l’HIV all’interno dei contesti sanitari. È necessario inoltre semplificare le tecniche di laboratorio, sia per quanto riguarda la misurazione della carica virale che per quanto riguarda la diagnosi precoce infantile. I nuovi strumenti che si stanno sviluppando hanno lo scopo di espandere l’accesso ai servizi diagnostici e migliorare la capacità dei medici di offrire ai propri pazienti le migliori cure mediche possibili e disponibili. Sarà necessario formare il personale di laboratorio e altri operatori sanitari all’utilizzo dei nuovi strumenti, di cui i laboratori dovranno essere dotati.
Tuttavia in molti paesi i laboratori sono ancora ad un livello elementare, godendo di scarso sostegno finanziario. Inoltre dove sono disponibili le tecnologie, non sempre sono utilizzate in maniera efficace. In Malawi, Mozambico e Sudafrica, circa il 51% dei risultati dei test di diagnosi precoce infantile non viene consegnato alle madri.
In questo contesto appare importante ricordare come il Programma DREAM fin dal suo nascere, nel 2002, ha parlato di terapia come prevenzione in particolare per quanto riguarda il blocco del passaggio  del virus dalla madre al bambino durante la gravidanza, il parto e l’allattamento. A tutte le donne incinte da sempre viene infanti offerto un mix composto da almeno tre farmaci, così come in occidente, e non si è mai voluto somministrare la singola dose di nevirapina come veniva fatto in quegli anni nei paesi a risorse limitate, nonostante si sapesse non fosse efficace nel ridurre la trasmissione del virus. Tutto questo avveniva molto prima delle linee guida OMS che nel 2010 hanno introdotto la triterapia come profilassi alle donne in gravidanza viventi i paesi a risorse limitate. Inoltre DREAM ha offerto da subito ai suoi pazienti una diagnostica di laboratorio di eccellenza, aprendo nei 10 paesi dove il programma esiste, 21 laboratori di biologia molecolare che hanno fino ad adesso effettuato 507.000 cariche virali. Ai neonati viene inoltre garantita la diagnosi precoce mediante una metodica basata sull’amplificazione con PCR (vedi post). 
Non è quindi impossibile raggiungere anche in Africa risultati occidentali in larga scala. E’ necessario però affrettarsi, perché il 2030 è vicino.


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