Il mondo sta unendo gli sforzi per porre fine
all’epidemia da HIV entro il 2030, perché il 90% delle persone sieropositive
conosca il proprio stato, il 90% delle persone che sanno di aver contratto l’infezione
sia messo in trattamento e il 90% di coloro che sono in trattamento abbia la
carica virale soppressa. Ottimizzare l’uso della diagnostica sarà fondamentale
per raggiungere tale obiettivo. Si stima che a partire dal dicembre 2013, 12,9
milioni di persone siano stati trattati con farmaci antiretrovirali. Anche se
questo rappresenta un ottimo risultato, il mondo deve ancora sfruttare pienamente
i benefici terapeutici e preventivi che derivano dal trattamento per l’HIV. E’
ormai riconosciuto infanti come il trattamento non solo salvi vite umane, ma
prevenga anche il diffondersi della malattia. Nei paesi più pesantemente
colpiti, l’utilizzo di antiretrovirali ha aumentato enormemente la speranza di
vita e ridotto la morbilità HIV correlata. Il trattamento per l’HIV si è
infatti dimostrato essere il più efficace intervento di prevenzione in grado di
ridurre la trasmissione del virus del 96%. Secondo studi recenti, ogni aumento
dell’1% della copertura del trattamento comporta un calo dell’1% delle nuove
infezioni. Inoltre il trattamento per l’HIV
consente di risparmiare denaro, con ritorni economici grazie a una riduzione
delle spese mediche e all’aumento della produttività lavorativa. Se in Africa
sub sahariana venissero trattati tutti coloro che sono HIV positivi,
indipendentemente dal loro stato immunologico, si avrebbe un risparmio di
miliardi di dollari.
Per raggiungere l’obiettivo è necessario integrare i
servizi, inserire i test per l’HIV all’interno dei contesti sanitari. È necessario
inoltre semplificare le tecniche di laboratorio, sia per quanto riguarda la
misurazione della carica virale che per quanto riguarda la diagnosi precoce
infantile. I nuovi strumenti che si stanno sviluppando hanno lo scopo di
espandere l’accesso ai servizi diagnostici e migliorare la capacità dei medici
di offrire ai propri pazienti le migliori cure mediche possibili e disponibili. Sarà necessario formare il personale di laboratorio e altri operatori sanitari all’utilizzo dei nuovi strumenti, di cui i laboratori dovranno essere dotati.
Tuttavia in molti paesi i laboratori sono ancora ad
un livello elementare, godendo di scarso sostegno finanziario. Inoltre dove
sono disponibili le tecnologie, non sempre sono utilizzate in maniera efficace.
In Malawi, Mozambico e Sudafrica, circa il 51% dei risultati dei test di
diagnosi precoce infantile non viene consegnato alle madri.
In questo contesto appare importante ricordare come
il Programma DREAM fin dal suo nascere, nel 2002, ha parlato di terapia come
prevenzione in particolare per quanto riguarda il blocco del passaggio del virus dalla madre al bambino durante la
gravidanza, il parto e l’allattamento. A tutte le donne incinte da sempre viene
infanti offerto un mix composto da almeno tre farmaci, così come in occidente,
e non si è mai voluto somministrare la singola dose di nevirapina come veniva
fatto in quegli anni nei paesi a risorse limitate, nonostante si sapesse non
fosse efficace nel ridurre la trasmissione del virus. Tutto questo avveniva molto prima delle linee guida OMS che nel 2010 hanno introdotto la triterapia come
profilassi alle donne in gravidanza viventi i paesi a risorse limitate. Inoltre
DREAM ha offerto da subito ai suoi pazienti una diagnostica di laboratorio di
eccellenza, aprendo nei 10 paesi dove il programma esiste, 21 laboratori di
biologia molecolare che hanno fino ad adesso effettuato 507.000 cariche virali.
Ai neonati viene inoltre garantita la diagnosi precoce mediante una metodica
basata sull’amplificazione con PCR (vedi post).
Non è quindi impossibile raggiungere anche in Africa
risultati occidentali in larga scala. E’ necessario però affrettarsi, perché il
2030 è vicino.
Per approfondimenti: Diagnostic Access Iniziative to achieve the 90-90-90treatment, UNAIDS 2015
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