Le conoscenze sulla trasmissione materno infantile e sulle relative
possibilità di prevenzione sono avanzate drasticamente dalle prime evidenze sull’efficacia
della terapia antiretrovirale a questo scopo (1994), ma l’obiettivo di
eliminare la trasmissione madre-bambino dell’HIV è realizzabile? Un articolo su JAIDS fa il punto sulla
situazione attuale.
Nel 1994 il clinical trial 076 dimostrò l’efficacia della zidovudina,
l’unico farmaco antiretrovirale fino ad allora conosciuto, nel diminuire il
rischio di trasmissione madre-bambino dell’HIV. Da allora sono stati condotti
molti altri studi, ed esaminati diversi regimi antiretrovirali che possono
ridurre sostanzialmente la percentuale di bambini che si infettano. I primi
trial in Africa Subsahariana erano rivolti ad identificare regimi farmacologici
semplificati e di breve durata, che fossero poco costosi e semplici da amministrare.
In questo senso, l’HIV prevention trial 012 dimostrò che una singola dose di
nevirapina somministrata alla madre al momento del parto dimezzava il rischio
di trasmissione al bambino. Tuttavia presto apparvero i limiti di un tale approccio, poiché la
trasmissione del virus può avvenire in qualsiasi momento durante la gravidanza,
e anche nel periodo dell’allattamento, ciò che rende necessaria una più lunga
esposizione agli antiretrovirali. Tra l’altro evitare l’allattamento materno
nei paesi a basse risorse espone i bambini a un rischio di morte troppo
elevato. Inoltre le donne con stadio avanzato della malattia hanno bisogno
della terapia antiretrovirale completa per la loro propria salute, e non di una
sola compressa. Una serie di clinical trial ha quindi dimostrato l’efficacia
della tripla terapia somministrata durante la gravidanza, il parto e
l’allattamento, nell’evitare la trasmissione dell’HIV e nel proteggere la
salute della madre. E’ questo l’approccio attualmente raccomandato dall’OMS per
i paesi a basse risorse come già lo era per i paesi più sviluppati.
Attraverso i programmi di prevenzione materno infantile si
stima siano state evitate già 100.000 infezioni pediatriche tra il 2003 e il
2010, ma molto rimane ancora da fare.
Per raggiungere il target fissato per il 2015, cioè
concretamente arrivare ad avere meno di 45000 infezioni l’anno in tutto il
mondo, il primo passo è quello di potenziare l’accesso ai servizi di
prevenzione durante la gravidanza, e di testare tutte le donne in gravidanza. Siamo
ancora lontani da questo, attualmente, in nove tra i 22 paesi che hanno il più
alto numero di infezioni pediatriche, meno del 50% delle donne vengono testate.
Un problema è costituito anche dal fatto che molte donne non si rivolgono ai
servizi di salute durante la gravidanza. Ma fare il test è solo il primo passo,
i servizi materno-infantili devono essere anche in grado di somministrare la
terapia antiretrovirale, mentre attualmente solo pochi lo fanno. Alcuni paesi
hanno deciso di implementare l’option B+, che permette di scavalcare il
problema di valutare l’eleggibilità al trattamento attraverso la conta dei CD4,
questi paesi, come il Malawi, hanno visto un aumento drammatico delle donne in
gravidanza che iniziano il trattamento.
Gli sforzi per aumentare l’accesso ai servizi per le donne
in gravidanza, e la somministrazione di terapia antiretrovirale, devono essere
anche accompagnati da un progresso nella prevenzione di nuovi casi di HIV tra
le donne, altrimenti non si potrà
eliminare l’HIV nei bambini.
L’eliminazione sarà finalmente ottenuta entro il 2015? È
lecito dubitarne, forse servirà più tempo. Tuttavia bisogna mantenere alta
l’attenzione su questo tema, concentrare gli sforzi organizzativi e finanziari su
questo ambizioso obiettivo per avanzare ancora più rapidamente negli prossimi
anni.