Già alla fine del 2013 UNAIDS aveva pubblicato un report
su HIV ed età (vedi post).
Negli anni si è registrato infatti un aumento delle persone HIV positive con più di 50 anni di età.
Una quota che cresce, di cui quasi un terzo nei paesi ad alto reddito e circa il 10% nei paesi a
basso reddito.
I sistemi sanitari
devono dunque interrogarsi su questo aspetto, per essere pronti a rispondere
alle esigenze di questi malati. Nessuno infatti conosce quale sarà la qualità
della vita di coloro che stanno diventando anziani con HIV/AIDS.
Ricercatori del St. Michael’s Hospital stanno lavorando su questo e la loro ricerca sarà pubblicata sulla rivista Current Opinion in HIV and AIDS.
Secondo il dottor Sean B. Rourke, neuropsicologo e direttore
della Neurobehavioural Research Unit del
St. Michael’s Hospital, è positivo che questi pazienti riescano ad invecchiare,
segno di un miglioramento dei servizi sanitari e di un trattamento efficace,
che raggiunge le persone e che si adatta ad esse tanto da rendere l’AIDS una
malattia cronica.
Tuttavia l’invecchiamento di chi è affetto da HIV può essere
più impegnativo rispetto a quello della popolazione generale. Non soltanto dal punto
di vista sociale (maggior rischio di isolamento sociale, perdita degli amici e
stigmatizzazione) ma soprattutto dal punto di vista clinico. Gli adulti con HIV
sviluppano infatti problemi cardiovascolari, osteoporosi, problemi renali e
neurocognitivi 10, 15 o 20 anni prima rispetto alla popolazione generale. I
problemi cerebrali a cui possono andare incontro sono dovuti a una
infiammazione dei tessuti, simile a quella dovuta ad un trauma cranico, ma
perenne. Ci possono essere problemi di attenzione e deficit di memoria.
Queste patologie possono essere gravemente invalidanti in
persone che hanno un’età che in realtà permetterebbe loro di continuare a
lavorare.
Il corpo di ricerca del Dr Rourke sta quindi esplorando
interventi ed altre strategie per ridurre al minimo l'impatto negativo
dell'invecchiamento con l'HIV.
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