10 dicembre 2012

Obiettivo zero trasmissioni: una missione possibile


Let’s not stop now. Let’s keep focused on the future. And one of those futures that I hope we can be part of achieving is an AIDS-free generation, così si è espressa Hillary Clinton al National Institute of Health lo scorso Novembre.
Nonostante i grandi passi avanti compiuti, ogni anno nel mondo si verificano ancora circa 300.000 nuove infezioni da HIV in bambini. Nel 90% dei casi sono dovute alla trasmissione verticale, cioè il virus viene trasmesso dalla madre sieropositiva durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. La trasmissione madre-bambino può essere ridotta a meno del 5% da opportuni programmi di prevenzione. Nonostante gli sforzi per diffondere questi programmi, numerosi fattori concorrono a limitarne l’effetto.
La prevenzione madre-bambino può essere considerata come una cascata di step successivi: test HIV delle donne in gravidanza, valutazione dell’eleggibilità alla terapia, somministrazione di terapia ARV o di profilassi, diagnosi precoce al nuovo nato a 1 mese di vita. A ogni passo, un certo numero di persone viene perso, escono dalla cascata e non beneficiano degli effetti degli interventi. Un recente studio, pubblicato sulla rivista AIDS, ha analizzato quantitativamente questa perdita in diversi paesi dell’africa sub sahariana, effettuando una metanalisi di 44 studi con 75172 partecipanti. Riassumiamo i dati riscontrati: nei setting dove il test HIV viene proposto a tutte le donne, con una strategia opt-out, il 93% delle donne viene testato, mentre in quelli dove le donne devono scegliere attivamente di essere testate (opt-in) la copertura è solo del 57%. In media, il 70% delle donne sieropositive effettua un qualche tipo di profilassi, che in 19 programmi su 77 si riduce alla monodose di nevirapina, intervento ritenuto non ottimale dall’OMS. Solo il 67% delle donne ha accesso alla valutazione dei CD4 e, nel caso la valutazione indichi la necessità del trattamento, solo il 61% delle donne lo effettua. Il 64% dei bambini nati è stato testato a 6 settimane dalla nascita. Questi dati, che indicano come ad ogni tappa successiva un rilevante numero di donne venga perso dal sistema di prevenzione e cura, concordano con l’analisi fatta dal meeting report dell’OMS del 13-15 settembre 2011, che osservava come: “nonostante lo scaling up dei servizi di prevenzione della trasmissione madre-bambino, la copertura di tali servizi nei paesi a basso e medio reddito rimane inaccettabilmente bassa”. Numerosi sono gli ostacoli da superare per garantire a tutte le donne la prevenzione: a cominciare dallo scarso e insufficiente collegamento tra i servizi prenatali e quelli per il trattamento dell’HIV, la non disponibilità dei servizi diagnostici, che spesso sono a pagamento e a prezzi non affrontabili dalla maggioranza della popolazione, i costi del trasporto, i tempi lunghi di attesa nei servizi dovuti al sovraffollamento, il numero elevato di sessioni di counselling richiesto da alcuni servizi prima di poter accedere alle cure, per finire con i problemi legati alla stigmatizzazione e alla difficoltà di comunicare il proprio status al partner. Molti sono dunque i settori identificati per iniziare un percorso di miglioramento, che permetterà di avvicinarsi all’obiettivo di un’AIDS- free generation in tutti i paesi.